7.9.09
Libeskind. Rappresentare l’irrappresentabile.
7 settembre 2009.
A pochi giorni dall’ottavo anniversario dagli attentati di New York. Sull’argomento chiunque e in qualsiasi contesto si è sentito giustificato a dire la sua, come se il solo fatto di averne visto le immagini regalasse il diritto di pronunciarsi e giudicare.
Otto anni fa il celebre musicista tedesco Stockhausen definì l‘11 settembre 2001 “la più grande opera d’arte possibile nell’intero cosmo”. Subito fu attaccato su tutti i fronti, venne frainteso e considerato un insensibile.
Con le sue parole, però, non stava esprimendo che un semplicissimo concetto: per la prima volta la realtà era riuscita a superare l’arte ed era riuscita a farlo per il solo fatto che l’immagine di due torri fumanti era stata vista in contemporanea da tutto il mondo e che tutto il mondo in quel momento ne era stato rapito.
E mentre i telegiornali propongono ogni anno il loro consueto servizietto commemorativo, si continua a parlare veramente poco della “ricostruzione“, di ciò che si è iniziato a fare a partire da quell‘autunno di otto anni fa per rendere omaggio, non dimenticare o semplicemente ripartire da quota zero.
“Abbiamo bisogno di qualcosa di drammatico, inatteso e spirituale che ci aiuti a comprendere la nostra vulnerabilità, la tragedia e la perdita che abbiamo sofferto”: con queste parole l’architetto di origine ebraico-polacca Daniel Libeskind si pronunciò nel 2004 ancora prima di vincere il concorso per la ricostruzione di Ground Zero.
L’idea del brillante architetto, già autore di opere come il monumento alla memoria e il Jewish Museum di Berlino, ruota attorno al concetto di un “antimonumento” che attraverso l’espressione dell’incapacità di rappresentare quanto accaduto, possa confrontarsi con la tragedia, non seppellirla.
Jewish Museum, Berlino.
Holocaust Memorial, Berlino.
Non ricostruire, quindi, nuovamente le Torri Gemelle ma di un piano più alto perché altrimenti “è come se i terroristi avessero vinto” come dichiarò l’antagonista costruttore Donald Trump, ma semplicemente rappresentare l’irrappresentabile, senza monumenti imponenti o grattacieli indistruttibili.
Per il momento su Ground Zero aleggiano due semplici fasci di luce.
I fasci di luce di Ground Zero, New York.
Eppure, passeggiando per Manhattan, chiunque viene richiamato a prestare loro il proprio sguardo, esattamente come siamo costretti a fare tutti prima o poi con le peggiori paure da cui tentiamo di scappare ma che inevitabilmente ritornano, implorando e pretendendo la nostra attenzione.
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